lunedì 30 novembre 2009

Oscar Wilde come filosofo

Centonove anni fa moriva a Parigi, all’età di 46 anni, Oscar Fingal O’Flaherty Wills Wilde. Erano passati tre anni da quando Wilde era uscito dal carcere di Reading, dopo essere stato condannato a due anni di lavori forzati per sodomia. Il carcere lo sfinì e ne causò la morte. Ma fu anche il luogo dove poté scrivere due gemme preziose: De Profundis e La ballata del carcere di Reading.


Wilde viene ricordato dai più come il dandy, colui che più di tutti ha incarnato l’estetismo, un brillante drammaturgo dalla lingua tagliante. Certo egli è stato un fulgido esempio di come si possa utilizzare la leggerezza al fine di smascherare l’ipocrisia. C’è però una parte dell’opera dello scrittore irlandese che sfugge ai più, che è poco conosciuta e che – consciamente oppure no – è stata messa da parte. A prima vista potrebbe apparire poco interessante o marginale rispetto al resto della produzione letteraria wildiana – e forse in effetti lo è. Ma ad uno sguardo più attento consente di scoprire e dare maggiore complessità al pensiero di Wilde, fuori dagli schematismi cui siamo stati abituati negli ultimi tempi, dopo l'esplosione di una certa moda wildiana: film, aforismi che imperversano su magliette, tazze, calamite da frigorifero, ecc.

Si tratta di riscoprire Wilde come «filosofo». Definizione che potrebbe apparire indecorosa o minimizzante, sia per Wilde sia per coloro i quali si considerano filosofi a tutti gli effetti. Ma, di fatto, sia con le sue opere, sia con la sua vita («La vita imita l'arte più di quanto l'arte non imiti la vita») Wilde ha sempre pienamente dimostrato di essere a tutti gli effetti un «filosofo della vita».

Nel 1890, lo stesso anno in cui diede alle stampe The Picture of Dorian Gray, Wilde pubblicò un breve saggio intitolato The Soul of Man Under Socialism, ovvero L’anima dell’uomo sotto il socialismo. E, sempre nel 1980, pubblicò un altro piccolo saggio in forma di dialogo The Critic as Artist, poi accresciuto con l’aggiunta de La decadenza della menzogna e ripubblicato nel 1891 col titolo Intentions.

In queste opere, soprattutto ne L’anima dell’uomo sotto il socialismo, Wilde dà una propria interpretazione filosofica e politica. Di solito si pensa a Wilde come ad uno scintillio fascinoso sostenuto dall’inconsistenza. Non si ha però ben in mente che dietro le sue contraddizioni e il gusto per l’ossimoro possa nascondersi un pensiero e una speculazione filosofica argomentata che sfocia addirittura in una filosofia politica.

Ne L’anima dell’uomo Wilde si dimostra a favore di un socialismo libertario (in questo senso va inteso il Socialism del titolo) imperniato su una filosofia dell’individualismo che, anche se in modo molto più leggero – e per certi versi più godibile – con esiti diversi fa pensare a Nietzsche e al suo Übermensch. Wilde in questo saggio si rivela quasi un Nietzsche di ambito inglese (li accomuna anche l’anno di morte). Non sappiamo se e quanto Wilde conoscesse direttamente l’opera del suo contemporaneo tedesco (sarebbe interessante scoprirlo!). Possiamo immaginare però che certe idee fossero nell’aria e che si respirassero da entrambe le sponde della Manica, anche se con sfumature e coloriture differenti.


Wilde propone un’utopia dove ognuno, in quanto individuo, può diventare l’artista di sé, per passare a vivere una vita bella e realizzata. Il socialismo diventa quindi un processo evolutivo verso l’individualismo, inteso come l’arte della costruzione di sé, del divenire ciò che si è (Volontà di potenza?).

Nel saggio vengono presi di mira il capitalismo borghese e il socialismo autoritario. Entrambi sistemi che impediscono la piena realizzazione di sé, in quanto individuo, e la realizzazione di quella filosofia dell’amore sostenuta più tardi da Carpenter con il suo Love’s Coming of Age (1896).

Il saggio di Wilde critica fortemente il pensiero politico dominante a quel tempo in Inghilterra. Va quindi letto contestualizzandone contenuti e polemiche. Ma si fa portatore di un messaggio di libertà che si spinge oltre al dibattito sull’attualità. E che si centra sulla realizzazione di sé:

Quel che dice Gesù è che l’uomo raggiunge la perfezione della vita non attraverso quel che ha, e nemmeno attraverso quel che fa, ma solo e interamente attraverso quel che è. Così il ricco giovane che va da Gesù ci viene rappresentato come un buon cittadino, che non ha infranto alcuna legge dello Stato, né alcun comandamento religioso. Uno rispettabile, nel senso ordinario di questa straordinaria parola. E Gesù gli dice: ‘devi rinunciare alla proprietà privata. Ti impedisce di realizzarti perfettamente. È un freno, è un fardello. La tua personalità non ne ha bisogno. È dentro di te, e non fuori di te che devi cercare quello che veramente sei, e quello che veramente vuoi.

E qui entra in gioco il discorso sull’arte, «la più intensa manifestazione d’individualismo che il mondo conosca». L’arte deve essere inutile e completamente libera dalla mercificazione e dal concetto di utile di matrice economia. Questo perché deve essere bella e tale da poter essere imitata dalla vita, che deve giungere ad una piena realizzazione («La vita imita l’arte» e non viceversa). Ed è in questo senso, l’alienazione dell’anima, che deve essere letto Il ritratto di Dorian Gray.

Qui diventano fondamentali per comprendere appieno questo discorso i due dialoghi Il critico come artista e La decadenza della menzogna.

L’arte di Wilde si è incarnate nella sua vita. Tanto che questa profonda mimesis l’ha portato fino alle estreme conseguenze, fino alla morte. Un tratto caratteristico di Wilde che è comune ad altri artisti e poeti della storia (solo per ricordarne uno, Pasolini…) che sono rimasti e rimarranno immortali.

Pére Lachaise: la tomba di Oscar Wilde ricoperta di baci.

Mai vidi un uomo triste guardare
con tanta ansia negli occhi
l'esigua tenda azzurra
che i prigionieri chiamano cielo,
e ogni nuvola vagante che passerà
libera e beata innanzi a noi
(La ballata del carcere di Reading, II stanza)

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sicilitudine:

«la sostanza di quella nozione della Sicilia che è insieme luogo comune, idea corrente, e motivo di univoca e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte»