martedì 14 settembre 2010

Licenziateli tutti. Una proposta per la scuola

Novantamila insegnanti precari non saranno più assunti a causa dei tagli sulla scuola decisi dal Governo. È solo il primo effetto di quella che hanno chiamato "riforma"; anche se è chiaro agli occhi di tutti che di altro si tratta: della progressiva diminuzione di investimenti statali nell'istruzione pubblica. Apparirebbe uno sfascio, ma il vero problema di questo Governo è un altro: la moderatezza, il sedicente riformismo.


Di insegnanti, il Governo, non dovrebbe licenziarne soltanto una parte, la più debole: i precari. Dovrebbe licenziarli tutti, nessuno escluso. Nascondersi dietro il velo del riformismo è una colpa imperdonabile, un'ipocrisia insostenibile. Se dicessero "distruggiamo la scuola", forse incasserebbero il mio appoggio, ma dato che sostengono di volerla riformare...

La Scuola andrebbe abolita, al più presto. O meglio: la società andrebbe descolarizzata. Ritardare ancora questo processo (che si sta compiendo, nonostante tutto, per inerzia, per autodistruzione) è una follia: significherebbe allungare l'agonia di un malato che già da troppo tempo emana fetore di morte; un puzzo insostenibile e ripugnante.

Abolire l'istituzione scolastica è l'unico passo possibile per liberarsi di un carrozzone che, tenendoci legati come delle bestie al giogo dell'istituzione, non ci consente più di correre spensierati, di saltare nei campi, di restare sorpresi. Perché soltanto restando sorpresi ci si può salvare. Soltanto una leggera curiosità per la conoscenza può produrre una "civiltà perfezionata". Non la scuola.

Dell'enorme perversione che è il sistema scolastico (così come noi lo conosciamo, ché non è minimamente paragonabile al Liceo o all'Accademia o alle università medievali) ha parlato mirabilmente un uomo: Ivan Illich. Rileggere oggi il suo libro Deschooling Society (1971) non potrebbe che rinfrescare e liberare la mente di molti difensori (sedicenti di sinistra) di questo sistema iniquo; fagocitati dai luoghi comuni, sono diventati essi stessi un luogo comune, un corpo comune, una mente comune. E hanno abdicato alla libertà (anche grazie alla scuola, ché loro sì che ci sono andati!).

Ivan Illich (1926-2002),
storico e critico della modernità.


Scriveva Illich:

"Abbiamo cercato per generazioni di migliorare il mondo fornendo una quantità sempre maggiore di scolarizzazione, ma sinora lo sforzo non è andato a buon fine. Abbiamo invece scoperto che obbligare tutti i bambini ad arrampicarsi per una scala scolastica senza fine non serve a promuovere l’uguaglianza, ma favorisce fatalmente colui che parte per primo, in migliori condizioni di salute o più preparato, che l’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto, e che il sapere trattato come merce, elargito in confezioni e considerato come proprietà privata, una volta acquisito, non può che essere sempre scarso".

La scuola è l'amplificatore delle differenze sociali, del privilegio di chi ha i mezzi per studiare (e sto parlando della scuola pubblica) e di chi non li ha. Perché un bambino povero, anche se in classe con un compagno ricco, non avrà mai le stesse possibilità del suo vicino: mai! Si aumenterà soltanto il suo senso di frustrazione, mentre se fosse rimasto fuori dal "diplomificio" non si sarebbe mai neppure posto il problema: avrebbe continuato la sua vita, realizzando nel migliore dei modi le possibilità di cui era dotato sin dall'inizio. Non avrebbe rincorso riconoscimenti sociali per lui inarrivabili.

Questa è la cruda realtà della scuola. I dati sull'"abbandono scolastico" lo dimostrano. Così come lo conferma la progressiva involuzione qualitativa delle università, dovuta all'insostenibile aumento del numero di studenti affamati di un inutile pezzo di carta. Quando tutti gli spazzini saranno laureati (e già lo sono) potremo affidare loro la ricerca scientifica sulla ecologia. E lo stesso vale per tutti gli altri che si ostinano ad ingolfare un luogo che dovrebbe essere consacrato allo studio e non alla carta pergamena di cui sono fatti i diplomi.

Avremo il macellaio laureato in zoologia veterinaria, il panetterie in scienze dell'alimentazione, il benzinaio in ingegneria petrolchimica, ecc. (E questo elenco ha il merito di riconoscere a ciascuno una propria specializzazione; sappiano che la realtà è ben diversa: che spesso un laureato in lettere finisce in un call center, uno in scienze politiche a vendere contratti della società di elettricità casa per casa, una laureata in chimica a fare la commessa in un negozio di mutande e reggiseni. E ci sarà poi il povero ignorante appassionato in mutande e reggiseni che non potrà fare il commesso in un negozio di intimo perché prima di lui, in graduatoria, ci sarà il laureato!).

Questa è la situazione paradossale che si sta venendo a creare (che si è già creata). L'eccessiva specializzazione rappresenta il rischio maggiore per la felicità delle persone, che si trovano la vita complicata da questioni che una volta li avrebbero riguardati direttamente, ma che oggi sono materia per gli "esperti" (che, in realtà, non hanno mai esperito alcunché). Assistiamo così ad una espropriazione progressiva della libertà di scelta delle persone, perché le scelte toccano a chi se ne intende, agli esperti iperscolarizzati.

L'aula di don Lorenzo Milani a Barbiana

"Il mero possesso di titoli di studio – denunciava Ivan Illich – per accedere a qualcosa è una discriminazione e va abolita. La discriminazione dovrebbe avvenire soltanto in base alle capacità e non al pedigree scolastico". Già, vaglielo a spiegare. Ci troviamo ormai in una situazione in cui una sorta di patto, di dogma sociale, accetta e crede ingenuamente che nelle scuole si impari davvero qualcosa. Che l'attestato rilasciato al termine del percorso scolastico attesti davvero qualcosa, l'apprendimento di qualcosa. Ma così pare non essere. E credo che ciascuno di noi, sottoponendosi a un'analisi sinceramente spietata, non avrebbe nessuna difficoltà a dimostrare esattamente il contrario, e ad affermare: tutte le cose più importanti che ho conosciuto, posso dirlo con certezza, le ho apprese fuori dalla scuola.

La descolarizzazione di cui parlava Illich non è una distruzione della scuola fine a se stessa, quanto piuttosto la "premessa di qualsiasi movimento per la liberazione dell'uomo"; una proposta. E di proposte Illich ne avanza di concretissime: se volete conoscerle leggete il libro (qui). Ché non ci sarà - e non sarò certo io - nessun esperto che vi sintetizzerà le mirabili cose a cui Illich restituisce chiarezza e comprensione. Buona lettura.

sicilitudine:

«la sostanza di quella nozione della Sicilia che è insieme luogo comune, idea corrente, e motivo di univoca e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte»